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«Chi guidava aveva bevuto e correva»

 BAISO. Quell’auto stava viaggiando ad una velocità pericolosa e chi si trovava al volante era in stato d’ebbrezza. Sono queste le conclusioni a cui è giunto il professor Giorgio Mazza, perito di parte nell’indagine sull’incidente notturno avvenuto tra il 19 e 20 dicembre 2008 nel quale morì la 19enne Chiara Maffei: l’auto sulla quale viaggiava insieme a 4 amici finì nel Secchia per un’improvvisa voragine, mentre percorreva una strada sterrata non aperta al traffico.
 Sull’auto, una Fiat Punto, c’erano 5 amici che stavano tornando a casa dopo una cena di compleanno a Roteglia (quello di Chiara Maffei, la vittima): Marco Benassi, Roberto Prati, Barbara Borghi e Alice Incerti. Dopo aver percorso un tratto della Provinciale 486R, il conducente (Benassi) prese una sterrata che porta verso il Secchia, una pista non transitabile, ma in realtà percorsa da motocrossisti e usata come «scorciatoia» dagli automobilisti. Per le piogge e le piene, una parte del tracciato era stato «mangiato» dal torrente e la Punto precipitò in una voragine, ribaltandosi nel Secchia.
 Dice la consulenza del professor Mazza: «L’auto finì sommersa dall’acqua per 45 centimetri, parabrezza e lunotto rotti, ma c’era la possibilità di uscire dall’abitacolo e dall’acqua. La ragazza (la vittima, ndr) era tramortita sul sedile anteriore a fianco del guidatore. I ragazzi, con ogni probabilità, sono usciti dal finestrino dal lato dove si trovava la ragazza tramortita». «Non sappiamo ancora - dice l’avvocato Fornaciari - le cause del decesso, aspettiamo l’esito dell’autopsia. Ma, stando alla consulenza, gli altri ragazzi sono in pratica passati sopra il corpo di Chiara per uscire». Sorge un interrogativo: perchè, una volta usciti salvi e con l’acqua che arrivava al al ginocchio, nessuno di loro ha provato a tirare fuori anche Chiara che ancora non si sapeva se era morta o no? Forse ha giocato la situazione contingente: il buio, il freddo, la paura e lo choc conseguenti al ribaltamento dell’auto. Ma qualcuno ha chiesto loro perchè non hanno tentato di aiutare la loro amica? «No, nessuno lo ha chiesto» afferma l’avvocato.
 Ma torniamo alla consulenza: «Il conducente al momento dell’evento aveva un tasso alcolemico superiore ai limiti. Infatti a distanza di tre ore e mezzo dal fatto, cioè alle 6.30, quando si trova in ospedale, risulta avere un tasso di 0.48» quindi appena sotto il limite che è di 0.50 grammi alcol per litro di sangue.
 «Ma a quell’ora sono trascorse più di tre ore dall’incidente - prosegue l’avvocato Fornaciari - quindi in base alle tabelle che il perito ha applicato, al momento dell’incidente il tasso doveva essere a 0.90, cioè quasi il doppio del limite consentito. Di conseguenza si può dire che chi stava guidando era in stato d’ebbrezza. Il giovane che guidava, ora indagato per omicidio colposo, potrebbe essere imputabile per lo stesso reato» Ma non basta, sempre secondo Mazza il conducente stava percorrendo questa strada che è una carraia, completamente al buio e sterrata a velocità eccessiva. «Insomma, andava forte» dice Fornaciari che ricorda come proprio a proposito della velocità sono state fatte delle simulazioni: a 70 km all’ora, a 50, a 40, per stabilire come l’auto avrebbe potuto reagire nel momento in cui è finita nel corso d’acqua.
 Il contachilometri dell’auto era fermo su 60 km/ora, ma secondo il perito d’ufficio Dante Davalli «la velocità non doveva essere inferiore a 80 km/ora». Ancora l’avvocato: «In queste condizioni è impossibile frenare su una strada del genere. Se fosse andato a 20-30 km all’ora, probabilmente davanti alla voragine l’auto si sarebbe fermata o poteva scivolare in basso lungo la scarpata. A 40, dice la perizia, sarebbe finita nel fiume senza perdere l’aderenza con la frana. E comunque strade del genere vanno percorse ad una velocità non superiore ai 10 km orari».
 «Ovviamente - conclude l’avvocato - a tutto questo si assomma l’incuria di chi doveva sorvegliare quel tratto di strada che comunque era frequentata. E questo sarà sicuramente oggetto del processo». La consulenza di parte è stata depositata nell’ufficio del procuratore Katia Marino che si occupa del caso.